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Zafferano ( Crocus sativus )

Lo Zafferano ( Crocus sativus L. ) è un’erba perenne coltivata in Iran, India e alcuni paesi del bacino Mediterraneo compresa l’Italia, apprezzato fin dall’antichità per la sua capacità di insaporire le vivande, è stato utilizzato per secoli dai maestri tintori per colorare di giallo le stoffe più preziose.

La farmacologia moderna ha avallato alcuni utilizzi tradizionali degli stigmi, dimostrando che: attenua la sindrome pre-mestruale, funge da blando antidepressivo, migliora le prestazioni cognitive, risulta essere un buon antiossidante e, in vitro, ha effetti neuro-protettivi. Già usato nella Medicina Ayurvedica, lo zafferano ancor oggi occupa un posto importante nell’ambito della fitoterapia ufficiale; tra le monografie delle piante medicinali pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è presente infatti anche la monografia “Stigma Croci”, che descrive le caratteristiche, le proprietà biologiche e gli usi medicamentosi dello zafferano.

Costituenti principali.

Il fitocomplesso contiene diverse molecole volatili la principale delle quali è il safranale, cui si attribuiscono molte azioni biologiche e la gran parte dell’aroma. Altri principi attivi sono la crocetina, crocina e picrocrocina, carotenoidi che conferiscono il sapore alla spezia. Tutte e quattro le molecole derivano da un unico precursore, il carotenoide zeaxantina, dal quale derivano per degradazione enzimatica, a opera di una diossigenasi specifica. La crocina, forma glicosilata idrosolubile della crocetina, determina il colore intenso tipico dello zafferano.

Proprietà e meccanismi d’azione.

La letteratura scientifica è ricca di lavori sperimentali dedicati allo studio delle proprietà biologiche dello zafferano e dei principi attivi che lo caratterizzano, tutti dotati di un profilo di attività piuttosto ampio.

Particolarmente ben documentati risultano essere gli effetti protettivi contro i danni indotti dai radicali liberi come pure le attività esercitate dallo zafferano a livello del sistema nervoso centrale, in particolare gli effetti sul tono dell’umore.

Azione antiradicalica e citoprotettiva contro lo stress ossidativo.
La presenza nello zafferano di una grande quantità di carotenoidi dota la spezia di notevoli attività antiossidanti e antiradicaliche, proprietà documentata sperimentalmente sia in vitro che in vivo.

In vitro, sia l’estratto totale di zafferano che i suoi costituenti crocina, crocetina, dimetilcrocetina e safranale sono risultati in grado di neutralizzare il radicale DPPH.

L’attività antiradicalica dello zafferano e dei suoi costituenti è stata valutata in vitro anche come effetto citoprotettivo contro lo stress ossidativo, utilizzando per lo studio colture di cellule PC12 sottoposte a ipossia. La presenza di crocina nel mezzo di coltura proteggeva le cellule dal danno indotto dai radicali liberi che, se non controllati, possono anche provocare la morte cellulare.

L’attività antiradicalica e citoprotettiva dello zafferano, della crocina e del safranale è stata confermata anche in vivo determinando in adeguati modelli sperimentali il livello di protezione contro il danno ossidativo indotto da ischemia o da sostanze genotossiche.

In base ai risultati ottenuti nelle varie sperimentazioni, si ritiene che gli effetti protettivi osservati siano dovuti alla capacità dello zafferano e dei suoi costituenti di preservare le difese antiossidanti, enzimatiche e non enzimatiche, naturalmente presenti nelle cellule.

Sperimentazione scientifica: lo zafferano fiore all’occhiello della sperimentazione scientifica italiana.


Ricercatori italiani dell’Università de L’Aquila, in collaborazione ad alcuni colleghi australiani, a loro volta esperti di fisiologia dei fotorecettori hanno scoperto che lo zafferano è in grado di influire sull’attività di diversi geni, alcuni responsabili dell’infiammazione in risposta allo stress ossidativo a carico della retina, altri dalla funzione ancora ignota. Questo tipo di degenerazione è particolarmente evidente nella Sindrome di Stargardt, la forma più comune di degenerazione ereditaria della macula, la zona centrale della retina.

Nel 2005, alcuni ricercatori italiani presso l’università di L’Aquila, hanno testato numerose sostanze antiossidanti nel tentativo di provarne gli effetti su dei ratti albini, che a causa di una mutazione genetica vanno incontro alla perdita dei fotorecettori se esposti alla luce. Ebbene, somministrato a questi animali modello, lo zafferano si è dimostrato capace di proteggerli dai danni luminosi, molto più del betacarotene che fino a quel momento era la sostanza più promettente in questo senso.

In vitro la crocina protegge i recettori visivi di bovini e primati dal danno foto-indotto. Colture primarie di cellule retiniche sono state esposte per un giorno a luce attinica blu e fluorescente bianca incubandole con varie concentrazioni di crocina per 24 ore prima e 8 ore dopo l’irradiazione; i controlli erano colture tenute al buio. Il danno genetico è stato quantificato col Tunel assay (Terminal deoxynucleotidyl transferase dUTP Nick-end Labelling) il danno genetico e la morte cellulare col dosaggio colorimetrico degli acidi nucleici.

L’esposizione alla luce uccide il 70-80 % di coni e bastoncelli nelle colture di controllo mentre quelle trattate con crocina sono protette in modo dosedipendente, con un’EC50 circa 30 μM. Sempre in vitro l’aglicone crocetina contrasta il danno cellulare indotto da tunicamicina e acqua ossigenata su cellule gangliari retiniche e inibisce la caspasi-3 e -9.

Ciò ha fatto pensare che la crocetina protegga i fotorecettori (e non solo) sia come antiossidante sia modulando l’apoptosi attraverso le caspasi; quest’ipotesi integra, senza smentirla, una precedente secondo cui la crocina e i derivati disaccaridici della crocetina aumentano il flusso ematico e l’ossigenazione della retina.

Studi clinici sull’uomo.

Sulle applicazioni oculistiche dello zafferano la ricerca italiana è molto prolifica: nel 2010 un trial clinico randomizzato (Falsini B. et al) ha dimostrato che la somministrazione per tre mesi di 20 mg/die di zafferano migliora la flicker sensitivity in pazienti ai primi stadi dell’AMD.

La flicker sensitivity è un parametro clinico-diagnostico elettro-fisiologico (dunque oggettivo) che aiuta a caratterizzare l’origine dei deficit visivi.
Lo studio ha coinvolto 25 soggetti non in terapia, età 54-85 anni, con AMD bilaterale allo stadio iniziale (diagnosi posta con oftalmoscopia diretta ed indiretta, biomicroscopia retinica e osservazione delle lesioni maculari primarie) divisi in gruppo sperimentale (n=11) e gruppo placebo (n=14) incrociati dopo 15 giorni di wash out al termine del periodo di trattamento.

Rispetto al placebo, lo zafferano ha migliorato i parametri f-ERG (elettro-retinogramma focale) maculari quali ampiezza e soglia di modulazione e la flicker sensitivity (endpoint primario) riflesso d’una azione positiva su fotorecettori e neuroni bipolari. In 20 pazienti è migliorata anche l’acuità visiva (endpoint secondario). La ricerca è stata ripetuta su altri 29 pazienti per scoprire se questi effetti permangono somministrando lo zafferano per periodi più lunghi (media = 14 ± 2 mesi).

I risultati hanno confermato che 20 mg/die per os inducono in soggetti con AMD iniziale miglioramenti stabili della funzione retinica misurata tramite la sensibilità fERG. Queste favorevoli misurazioni elettrofisiologiche si accordano con la percezione dei pazienti i quali hanno comunicato un miglioramento della qualità della vista e, di conseguenza, della loro vita.

Gli autori dello studio ritengono che ci siano diversi meccanismi farmacodinamici alla base di questi effetti: l’azione antiossidante, l’inibizione dell’apoptosi cellulare attraverso le caspasi, la modulazione dell’espressione genica di altri fattori cellulari ad azione neuro-protettiva.

Per la crocetina è disponibile anche uno studio farmacocinetico open-label su 10 volontari: essa viene assorbita molto rapidamente nel tratto gastro-intestinale (più della luteina, del licopene e del beta-carotene) e diventa dosabile nel plasma dopo circa 1 ora (Tmax = 4-4.8 ore); la Cmax misurata va da 100.9 a 279.7 ng/ml, l’emivita è 6.1-7.5 ore. Sappiamo anche che la crocina non viene assorbita come tale ma è idrolizzata pressoché completamente a crocetina e zuccheri; la crocetina è metabolizzata a monoe di-glucuronide, quindi viene eliminata.



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